LA NUOVA LETTERA PASTORALE DELL’ARCIVESCOVO DI MILANO,
 

MONS. MARIO DELPINI PER L’ANNO 2019-2020
 

"LA SITUAZIONE E’ OCCASIONE"

Lunedì scorso, 8 luglio 2019, è apparsa nelle librerie cattoliche la nuova Lettera Pastorale dell’Arcivescovo, mons. Mario Delpini, per l’Anno pastorale della Diocesi di Milano 2019-2020. Più che una Lettera pastorale classica, con un tema e un programma ben definito, come avveniva negli anni passati, l’Arcivescovo ha inteso fare delle ‘proposte’ per aiutare i pastori e i fedeli a vivere bene l’Anno liturgico, che è la scuola principale di educazione alla fede di una comunità cristiana.


Il titolo della Lettera, secondo lo stile oramai abituale di mons. Delpini, è alquanto originale: ‘LA SITUAZIONE E’ OCCASIONE’, e il sottotitolo è preso dalla Lettera di San Paolo ai Filippesi: ‘Per il progresso e la gioia della vostra fede’. La Lettera paolina che guiderà l’azione pastorale diocesana per tutto l’anno dovrà pertanto essere conosciuta, meditata, studiata e praticata.


Diamo una spiegazione del titolo e del contenuto della Lettera pastorale.

‘La situazione’: ogni situazione che la vita ci presenta quotidianamente può diventare una ‘occasione’ per annunciare e per vivere il vangelo. Lo ricorda proprio San Paolo, prigioniero probabilmente a Roma, quando scrive ai pagani di Filippi (cittadina macedone, ora francese; la prima città europea che è stata evangelizzata da San Paolo) quando confidenzialmente dice: ‘Io sono in carcere, in una ‘situazione’ precaria, ma questa situazione è diventata per me una ‘occasione’ per il vangelo, perché io ho detto a tutti che il motivo per cui sono in carcere è Gesù Cristo e così tutto il Palazzo del Pretorio, risuona del nome di Cristo e tutti sanno che sono qui per questo’.


La stessa cosa avviene per noi. Ognuno di noi si trova ogni giorno in varie ‘situazioni’, di salute, di malattia, di lavoro, di famiglia, ecc., ma se ci mettiamo in ascolto dello Spirito Santo, possiamo trasformare la ‘situazione’ in una occasione di bene’, pregando, parlando, offrendo le proprie sofferenze, aiutando così le persone ad incontrare il Signore.

Riferendosi all’Anno liturgico 2019-20, l’Arcivescovo si sofferma in particolare su 6 ‘Tempi liturgici’ ai quali dedica 6 ‘Lettere’ per aiutare i fedeli a viverli bene. Le sei Lettere riguardano:

1) il prossimo mese di ottobre, mese missionario straordinario per volere di Papa Francesco

2) il Tempo di Avvento, che inizierà il 27 Novembre,

3) il Tempo di Natale

4) il tempo della Quaresima

5) il Tempo pasquale

6) il Tempo dopo Pentecoste.


La nuova Lettera pastorale è racchiusa in un libretto di 144 pagine (costo 4 €) perché, oltre al testo della Lettera dell’Arcivescovo, comprende anche la Lettera di San Paolo ai Filippesi e l’omelia di mons. Delpini alla Messa crismale del Giovedì Santo di quest’anno.


Ora non ci resta che cercare la Lettera pastorale, acquistarla, leggerla attentamente, magari sotto l’ombrellone al mare o all’ombra di un platano in montagna, in modo da essere pronti a metterla in pratica durante il nuovo Anno pastorale che inizierà il 27 Novembre con la prima domenica di Avvento.

Desideriamo ringraziare l’Arcivescovo per questo ulteriore dono che fa alla Chiesa di Milano (è la sua 3a Lettera pastorale) e pregare lo Spirito Santo perché venga accolta con disponibilità e fede.

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA QUARESIMA 2014

Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9)

Cari fratelli e sorelle,

in occasione della Quaresima, vi offro alcune riflessioni, perché possano servire al cammino personale e comunitario di conversione. Prendo lo spunto dall’espressione di san Paolo: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).L’Apostolo si rivolge ai cristiani di Corinto per incoraggiarli ad essere generosi nell’aiutare i fedeli di Gerusalemme che si trovano nel bisogno. Che cosa dicono a noi, cristiani di oggi, queste parole di san Paolo? Che cosa dice oggi a noi l’invito alla povertà, a una vita povera in senso evangelico?

La grazia di Cristo

Anzitutto ci dicono qual è lo stile di Dio. Dio non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà: «Da ricco che era, si è fatto povero per voi…». Cristo, il Figlio eterno di Dio, uguale in potenza e gloria con il Padre, si è fatto povero; è sceso in mezzo a noi, si èfatto vicino ad ognuno di noi; si è spogliato, “svuotato”, per rendersi in tutto simile a noi (cfr Fil 2,7; Eb 4,15). È un grande mistero l’incarnazione di Dio! Ma la ragione di tutto questo è l’amore divino, un amore che è grazia, generosità, desiderio di prossimità, e non esita a donarsi e sacrificarsi per le creature amate. La carità, l’amore è condividere in tutto la sorte dell’amato. L’amore rende simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze. E Dio ha fatto questo con noi. Gesù, infatti, «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22).


Lo scopo del farsi povero di Gesù non è la povertà in se stessa, ma – dice san Paolo – «...perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Non si tratta di un gioco di parole, di un’espressione ad effetto! E’ invece una sintesi della logica di Dio, la logica dell’amore, la logica dell’Incarnazione e della Croce. Dio non ha fatto cadere su di noi la salvezza dall’alto, come l’elemosina di chi dà parte del proprio superfluo con pietismo filantropico. Non è questo l’amore di Cristo! Quando Gesù scende nelle acque del Giordano e si fa battezzare da Giovanni il Battista, non lo fa perché ha bisogno di penitenza, di conversione; lo fa per mettersi in mezzo alla gente, bisognosa di perdono, in mezzo a noi peccatori, e caricarsi del peso dei nostri peccati. E’ questa la via che ha scelto per consolarci, salvarci, liberarci dalla nostra miseria. Ci colpisce che l’Apostolo dica che siamo stati liberati non per mezzo della ricchezza di Cristo, ma per mezzo della sua povertà. Eppure san Paolo conosce bene le «impenetrabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8),«erede di tutte le cose» (Eb 1,2).


Che cos’è allora questa povertà con cui Gesù ci libera e ci rende ricchi? È proprio il suo modo di amarci, il suo farsi prossimo a noi come il Buon Samaritano che si avvicina a quell’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada (cfr Lc 10,25ss). Ciò che ci dà vera libertà, vera salvezza e vera felicità è il suo amore di compassione, di tenerezza e di condivisione. La povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio. La povertà di Cristo è la più grande ricchezza: Gesù è ricco della sua sconfinata fiducia in Dio Padre, dell’affidarsi a Lui in ogni momento, cercando sempre e solo la sua volontà e la sua gloria. È ricco come lo è un bambino che si sente amato e ama i suoi genitori e non dubita un istante del loro amore e della loro tenerezza. La ricchezza di Gesù è il suo essere il Figlio, la sua relazione unica con il Padre è la prerogativa sovrana di questo Messia povero. Quando Gesù ci invita a prendere su di noi il suo “giogo soave”, ci invita ad arricchirci di questa sua “ricca povertà” e “povera ricchezza”, a condividere con Lui il suo Spirito filiale e fraterno, a diventare figli nel Figlio, fratelli nel Fratello Primogenito (cfr Rm 8,29).

È stato detto che la sola vera tristezza è non essere santi (L. Bloy); potremmo anche dire che vi è una sola vera miseria: non vivere da figli di Dio e da fratelli di Cristo.

La nostra testimonianza

Potremmo pensare che questa “via” della povertà sia stata quella di Gesù, mentre noi, che veniamo dopo di Lui, possiamo salvare il mondo con adeguati mezzi umani. Non è così. In ogni epoca e in ogni luogo, Dio continua a salvare gli uomini e il mondo mediante la povertà di Cristo, il quale si fa povero nei Sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa, che è un popolo di poveri. La ricchezza di Dio non può passare attraverso la nostra ricchezza, ma sempre e soltanto attraverso la nostra povertà, personale e comunitaria, animata dallo Spirito di Cristo.

Ad imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle. La miseria non coincide con la povertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza. Possiamo distinguere tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria morale e la miseria spirituale. La miseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana: privati dei diritti fondamentali e dei beni di prima necessità quali il cibo, l’acqua, le condizioni igieniche, il lavoro, la possibilità di sviluppo e di crescita culturale. Di fronte a questa miseria la Chiesa offre il suo servizio, la sua diakonia, per andare incontro ai bisogni e guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità. Nei poveri e negli ultimi noi vediamo il volto di Cristo; amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo.Il nostro impegno si orienta anche a fare in modo che cessino nel mondo le violazioni della dignità umana, le discriminazioni e i soprusi, che, in tanti casi, sono all’origine della miseria. Quando il potere, il lusso e il denaro diventano idoli, si antepongono questi all’esigenza di una equa distribuzione delle ricchezze. Pertanto, è necessario che le coscienze si convertano alla giustizia, all’uguaglianza, alla sobrietà e alla condivisione.

Non meno preoccupante è la miseria morale, che consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato. Quante famiglie sono nell’angoscia perché qualcuno dei membri – spesso giovane – è soggiogato dall’alcol, dalla droga, dal gioco, dalla pornografia! Quante persone hanno smarrito il senso della vita, sono prive di prospettive sul futuro e hanno perso la speranza! E quante persone sono costrette a questa miseria da condizioni sociali ingiuste, dalla mancanza di lavoro che le priva della dignità che dà il portare il pane a casa, per la mancanza di uguaglianza rispetto ai diritti all’educazione e alla salute. In questi casi la miseria morale può ben chiamarsi suicidio incipiente. Questa forma di miseria, che è anche causa di rovina economica, si collega sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore. Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, che in Cristo ci tende la mano, perché pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento. Dio è l’unico che veramente salva e libera.

Il Vangelo è il vero antidoto contro la miseria spirituale: il cristiano è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna. Il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza! È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio. Si tratta di seguire e imitare Gesù, che è andato verso i poveri e i peccatori come il pastore verso la pecora perduta, e ci è andato pieno d’amore. Uniti a Lui possiamo aprire con coraggio nuove strade di evangelizzazione e promozione umana.

Cari fratelli e sorelle, questo tempo di Quaresima trovi la Chiesa intera disposta e sollecita nel testimoniare a quanti vivono nella miseria materiale, morale e spirituale il messaggio evangelico, che si riassume nell’annuncio dell’amore del Padre misericordioso, pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona. Potremo farlo nella misura in cui saremo conformati a Cristo, che si è fatto povero e ci ha arricchiti con la sua povertà. La Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spogliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole.

Lo Spirito Santo, grazie al quale «[siamo] come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» (2 Cor 6,10), sostenga questi nostri propositi e rafforzi in noi l’attenzione e la responsabilità verso la miseria umana, per diventare misericordiosi e operatori di misericordia. Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.

Dal Vaticano, 26 dicembre 2014

 

 

SACRAMENTO UNZIONE DEGLI INFERMI

Cari Fratelli e Sorelle, buongiorno,
 

Oggi vorrei parlarvi del Sacramento dell’Unzione degli infermi, che ci permette di toccare con mano la compassione di Dio per l’uomo. In passato veniva chiamato “Estrema unzione”, perché era inteso come conforto spirituale nell’imminenza della morte. Parlare invece di “Unzione degli infermi” ci aiuta ad allargare lo sguardo all’esperienza della malattia e della sofferenza, nell’orizzonte della misericordia di Dio.

 

1. C’è un’icona biblica che esprime in tutta la sua profondità il mistero che traspare nell’Unzione degli infermi: è la parabola del «buon samaritano», nel Vangelo di Luca (10,30-35). Ogni volta che celebriamo tale Sacramento, il Signore Gesù, nella persona del sacerdote, si fa vicino a chi soffre ed è gravemente malato, o anziano. Dice la parabola che il buon samaritano si prende cura dell’uomo sofferente versando sulle sue ferite olio e vino. L’olio ci fa pensare a quello che viene benedetto dal Vescovo ogni anno, nella Messa crismale del Giovedì Santo, proprio in vista dell’Unzione degli infermi. Il vino, invece, è segno dell’amore e della grazia di Cristo che scaturiscono dal dono della sua vita per noi e si esprimono in tutta la loro ricchezza nella vita sacramentale della Chiesa. Infine, la persona sofferente viene affidata a un albergatore, affinché possa continuare a prendersi cura di lei, senza badare a spese. Ora, chi è questo albergatore? È la Chiesa, la comunità cristiana, siamo noi, ai quali ogni giorno il Signore Gesù affida coloro che sono afflitti, nel corpo e nello spirito, perché possiamo continuare a riversare su di loro, senza misura, tutta la sua misericordia e la salvezza.

 

2. Questo mandato è ribadito in modo esplicito e preciso nella Lettera di Giacomo, dove raccomanda: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (5,14-15). Si tratta quindi di una prassi che era in atto già al tempo degli Apostoli. Gesù infatti ha insegnato ai suoi discepoli ad avere la sua stessa predilezione per i malati e per i sofferenti e ha trasmesso loro la capacità e il compito di continuare ad elargire nel suo nome e secondo il suo cuore sollievo e pace, attraverso la grazia speciale di tale Sacramento. Questo però non ci deve fare scadere nella ricerca ossessiva del miracolo o nella presunzione di poter ottenere sempre e comunque la guarigione. Ma è la sicurezza della vicinanza di Gesù al malato e anche all’anziano, perché ogni anziano, ogni persona di più di 65 anni, può ricevere questo Sacramento, mediante il quale è Gesù stesso che ci avvicina.

 

Ma quando c'è un malato a volte si pensa: “chiamiamo il sacerdote perché venga”; “No, poi porta malafortuna, non chiamiamolo”, oppure “poi si spaventa l’ammalato”. Perché si pensa questo? Perché c’è un po’ l’idea che dopo il sacerdote arrivano le pompe funebri. E questo non è vero. Il sacerdote viene per aiutare il malato o l’anziano; per questo è tanto importante la visita dei sacerdoti ai malati. Bisogna chiamare il sacerdote presso il malato e dire: “venga, gli dia l’unzione, lo benedica”. È Gesù stesso che arriva per sollevare il malato, per dargli forza, per dargli speranza, per aiutarlo; anche per perdonargli i peccati. E questo è bellissimo! E non bisogna pensare che questo sia un tabù, perché è sempre bello sapere che nel momento del dolore e della malattia noi non siamo soli: il sacerdote e coloro che sono presenti durante l’Unzione degli infermi rappresentano infatti tutta la comunità cristiana che, come un unico corpo si stringe attorno a chi soffre e ai familiari, alimentando in essi la fede e la speranza, e sostenendoli con la preghiera e il calore fraterno. Ma il conforto più grande deriva dal fatto che a rendersi presente nel Sacramento è lo stesso Signore Gesù, che ci prende per mano, ci accarezza come faceva con gli ammalati e ci ricorda che ormai gli apparteniamo e che nulla - neppure il male e la morte - potrà mai separarci da Lui. Abbiamo questa abitudine di chiamare il sacerdote perché ai nostri malati – non dico ammalati di influenza, di tre-quattro giorni, ma quando è una malattia seria – e anche ai nostri anziani, venga e dia loro questo Sacramento, questo conforto, questa forza di Gesù per andare avanti? Facciamolo!

 

 

GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE – 20 Ottobre 2013

Il 20 ottobre prossimo si celebrerà la 87a Giornata Mondiale Missionaria, per la quale Papa Francesco ha preparato un ‘Messaggio’ incentrato sull’Anno della fede. Il Messaggio è suddiviso in 5 paragrafi, che ho cercato di riassumere e di semplificare, rimanendo fedele al testo.

1)    La fede è un dono prezioso che ci permette di conoscere, amare ed essere amati da Dio. La fede va però accolta e condivisa, perché non è solo per pochi ma per tutti. Se tenessimo la fede solo per noi, diventeremmo dei cristiani sterili, isolati, ammalati. La maturità di una comunità si misura dalla sua capacità di evangelizzare ovunque, soprattutto nelle ‘periferie’ dove Cristo non è ancora conosciuto.

2)   L’Anno della fede, a 50 anni dal Concilio Ecumenico Vaticano II, ha lo scopo di rendere sempre più consapevole la Chiesa della sua presenza e della sua missine nel mondo. Il Concilio ha sottolineato come il compito missionario sia proprio di ogni battezzato e di tutte le comunità cristiane. Ogni comunità deve sentirsi missionaria. La missionarietà non un aspetto secondario della vita cristiana, ma essenzialeTutti siamo inviati sulle strade del mondo a testimoniare la nostra fede in Cristo. Ogni comunità deve quindi dare rilievo alla dimensione missionaria nei programmi pastorali.

3)   A volte si pensa che annunciare il Vangelo sia far violenza alla libertà degli altri, mentre la Chiesa non vuole mai imporre, ma solo proporre la via buona del Vangelo a tutti.Non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Ogni evangelizzatore, anche se è solo, compie un atto di Chiesa. Egli non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo.

4)   Oggi viviamo in un mondo caratterizzato dalla mobilità. La gente si sposta continuamente per varie ragioni di turismo, di lavoro, di svago, ecc.  Ci sono poi gli estranei alla fede, gli indifferenti, un’ampia parte dell’umanità che non è ancora stata raggiunta dalla buona notizia di Gesù Cristo.  Tutto ciò rende ancora più urgente portare con coraggio in ogni realtà il Vangelo di Gesù Cristo,  che è annuncio di speranza. La Chiesa non fa proselitismo, non è una organizzazione assistenziale, un’impresa, una ONG (Organizzazione non governativa), ma è una comunità di persone animate dallo Spirito Santo, che hanno incontrato Gesù Cristo e desiderano comunicarlo anche agli altri.

5)  Papa Francesco elogia i missionari e le giovani Chiese che vanno in aiuto alle Chiese in difficoltà. ‘Donare missionari e missionarie non è mai una perdita, ma un guadagno’. Anche le Conferenze Episcopali, i Vescovi, le Famiglie religiose devono favorire le vocazioni missionarie.  Il Papa invita poi i missionari ‘a vivere con gioia il loro prezioso servizio alla Chiesa a cui sono inviati’. Vanno sostenute anche le Pontificie Opere Missionarie.  Un pensiero particolare Papa Francesco lo rivolge ai cristiani perseguitati, perché ricordino le parole di Gesù: ’Coraggio! Io ho vinto il mondo’. Il messaggio papale si conclude con un pensiero di Papa Benedetto XVI, espresso nella Lettera ‘Porta fidei’: ‘che l’Anno della fede rafforzi il nostro rapporto con Cristo e ci doni di sperimentare ‘la dolce e confortante gioia di evangelizzare’. (Paolo VI)

ENCICLICA ‘LUMEN FIDEI’

L’Enciclica ‘Lumen fidei‘ (La luce della fede) annunciata da tempo, ha visto ufficialmente la luce il 29 giugno 2013, festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Reca la firma di Papa Francesco, nel suo primo anno di pontificato, ma si sa che è stata scritta a ‘4 mani’, dall’emerito Papa Benedetto XVI e da Papa Francesco Bergoglio.

Papa Benedetto XVI l’aveva prevista e preparata per celebrare l’Anno della fede e per completare la trilogia delle sue Encicliche sulle tre virtù teologali.

Dopo la ‘Caritas est’ sulla carità (2007), dopo la ‘Spe Salvi’  sulla virtù della speranza (2009), non poteva mancare quella sulla fede ‘Lumen fidei’ sulla fede (2013).

L’Enciclica consta di un centinaio di pagine ed è formata da una Introduzione e da 4 capitoletti, suddivisi, per praticità, in 59 numeri.

Gli ultimi due numeri (58 e 59) sono dedicati alla figura di Maria, modello di fede per tutti i credenti.

Io ho cercato di leggerla attentamente e di presentarla in modo facile, pur rimanendo fedele al testo.

Ognuno potrà poi ripercorrere ogni capitoletto della Lettera, approfondendo ciò che più gli aggrada.

 
INTRODUZIONE (cap. 1-7)

Tratta della fede in generale come ’luce da riscoprire’. La luce della fede è il grande dono che Gesù ha portato agli uomini: ‘Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in Me, anche se muore, vivrà’. (Gv. 11, 46) Perfino i pagani sentivano il bisogno di una luce, che, erroneamente, identificavano nel Dio sole. (1)
Sorge però una obiezione: la fede poteva servire nei tempi passati, ma oggi, in un’epoca globalizzata, tecnologicamente avanzata, serve ancora? O è un ostacolo alla ricerca in tutti i campi dello scibile umano? (filosofia di Nietzsche 1865) (2).
La fede non è un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce? L’esperienza insegna che la sola luce della ragione non basta a illuminare il cammino dell’uomo, sono solo ‘piccole luci’ che illuminano brevi istanti, ma sono incapaci di aprire la strada’ (3).
L’uomo ha bisogno di una luce capace di illuminare tutta la sua esistenza e questa può venire solo dall’alto, da Dio. La fede è un ‘dono soprannaturale’  che ci dà ‘occhi nuovi’ per vedere la realtà. Nell’Enciclica il Papa, riferendosi a Dante,  intende parlare di questa fede ‘perché cresca e illumini il presente fino a diventare stella che mostra gli orizzonti del nostro cammino, in un tempo in cui l’uomo è particolarmente bisognoso di luce’. (4)
Per questo è stato indetto l’Anno della fede,  ‘per farci sentire la grande gioia di credere’. I primi martiri consideravano la fede come una ‘madre’, che genera alla Luce, che è Cristo (5).
L’Anno della fede è stato indetto per ricordare il 50° del Concilio Vaticano II, chiamato il Concilio della fede, in quanto ha affermato il primato di Dio in Cristo nella nostra vita (6).
Papa Bergoglio ricorda che la Lettera Enciclica è stata scritta da Benedetto XVI, alla quale ha aggiunto ‘alcuni suoi ulteriori contributi’.
Il compito del Papa consiste nel ‘confermare i fratelli’ e per questo invita ad ‘accogliere la Parola, che è Gesù Cristo, Parola incarnata. Lo Spirito ci trasforma, illumina il cammino del futuro, fa crescere in noi le ali della speranza per percorrerlo con gioia (7).
 
Cap. 1° ABBIAMO CREDUTO ALL’AMORE (cap. 8 - 36)

Il primo esempio di credente nella Bibbia, è Abramo, ‘nostro padre nella fede’, il quale, pur  senza vedere Dio, ascolta la Sua parola e risponde alla Sua chiamata. ‘La fede è la risposta a una chiamata che ci interpella personalmente’.  (8).
   
La Parola di Dio rivolta ad Abramo consiste in una chiamata e in una promessa.  La chiamata è a lasciare la terra, i beni e gli affetti; la promessa  consiste in una grande benedizione (9).

    Ciò che viene richiesto ad Abramo, e a ogni credente, è di ‘affidarci al Padre’. ‘L’uomo fedele riceve la sua forza nell’affidarsi nelle mani del Dio fedele’ (10).
    La chiamata di Dio ad Abramo rivela la paternità di Dio. ‘La vita di Abramo non proviene dal caso o dal nulla, ma da una chiamata e un amore personali’ (11).
    Anche la storia del popolo Israele è simile a quella di Abramo. Israele scopre la paternità di Dio attraverso i fatti operati dal Signore a suo favore. Così la nostra fede è legata ‘al ricordo grato dei benefici di Dio   a nostro riguardo’ (12).
    Israele ha subito spesso anche la tentazione dell’incredulità, che si è concretizzata nella idolatria, ossia nel rendere culto agli idoli e non a Dio. L’idolatria sconfina nel politeismo. La fede è l’opposto della idolatria. ‘Credere significa affidarsi a un amore misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta l’esistenza…’ (13).
    L’incontro di Israele con Dio avviene attraverso un mediatore, Mosè; così la nostra fede è mediata da una comunità, la Chiesa. ‘La fede è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio  di  fidarsi e affidarsi a Lui…’ (14).
    La fede di Abramo era già orientata verso Cristo, anche a distanza di millenni. ‘La fede cristiana è centrata in Cristo, è confessione che Gesù è il Signore e che Dio lo ha risuscitato dai morti’. Gesù è la suprema manifestazione dell’amore di Dio per noi. ‘La fede cristiana è quindi fede nell’Amore pieno…’ (15).
    La prova massima dell’affidabilità dell’amore di Cristo si trova nella sua morte per l’uomo, anche per i nemici. ‘In questo amore, che non si è sottratto alla morte, per manifestare quanto ci ama, è possibile credere’ (16).
    La resurrezione è la massima prova d’amore di Dio per gli uomini (‘Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede’ 1 Cor. 15, 17)) e mostra che Dio è vivo e operante nella storia (17).
    Cristo non è soltanto colui ‘in cui crediamo’, ma anche colui ‘al quale’ ci uniamo per poter credere. Spesso noi ci affidiamo ad altri (al medico, all’architetto…) per conoscere le cose, così dobbiamo rivolgerci a Gesù.  Non basta ‘credere che’ è vero ciò che dice Gesù, ma è necessario ‘credere a’ e ‘credere in’ Gesù. ‘Crediamo a’ Gesù, quando accettiamo la sua parola, la sua testimonianza, perché lui è veritiero’. ‘Crediamo in’ Gesù quando lo accogliamo personalmente nella nostra vita e ci affidiamo a Lui…’ (18).
    ‘Colui che crede viene trasformato in una nuova creatura… diventa figlio nel Figlio’. Non sono le opere che salvano, ma la fede. La salvezza, attraverso la fede consiste nel riconoscere il primato del dono di Dio (19).
    ‘La fede in Cristo ci salva perché è in Lui che la vita si apre radicalmente all’Amore, che ci precede e ci trasforma dall’interno, che agisce in noi e con noi’. (20).
    Ecco la novità cristiana: il credente viene trasformato dall’Amore e si apre alla fede, fino a dire con San Paolo: ‘Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me’.  ‘Senza l’azione dello Spirito Santo è impossibile confessare Gesù come Signore’ (21).
    La fede è necessariamente ecclesiale. La fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio.
Per chi è stato trasformato in questo modo, si apre un nuovo modo di vedere, la fede diventa luce per i suoi occhi (22).
 
Cap. o 2° ‘ SE NON CREDERETE, NON COMPRENDERETE’ (23-37)
    
Se non crederete, non comprenderete’, disse il profeta Isaia al re Acaz. Il profeta invita il re ad affidarsi soltanto alla vera roccia che non vacilla, il Dio d’Israele. ‘Poiché Dio è affidabile, è ragionevole avere fede in Lui, costruire la propria sicurezza sulla sua parola’ (23).
    Le parole di Isaia portano ad una conclusione: ‘L’uomo ha bisogno di conoscenza, di verità, perché senza di essa non si sostiene, non va avanti…’ ‘La fede senza verità non salva, non rende sicuri i nostri passi e diventa una bella fiaba…’ (24).
    Oggi viviamo in un tempo di crisi della verità. E’ vero solo ciò che la tecnologia ci propone. La ‘verità vera’ è guardata con sospetto. Domina il ‘relativismo’ per cui non esiste una verità assoluta. (25).
    San Paolo scrive: ‘Con il cuore si crede’. Il cuore è la sede di tutto l’uomo. E’ la fede che trasforma la persona e si apre all’amore…’ (26).
    L’amore da solo non ha stabilità se non è fondato sulla verità. Se è fondato sulla verità potrà durare sempre, mentre se è fondato solo sui sentimenti, diventa precario.
Se l’amore ha bisogno della verità, anche la verità ha bisogno dell’amore. Amore e verità non si possono separare’ (27).
    Nella Bibbia verità e fedeltà vanno insieme. Il Dio vero è il Dio fedele, Colui che mantiene la sua promessa e permette, nel tempo, di comprendere il suo disegno’.  Ciò vale per il popolo d’Israele, ma anche per tutti i popoli della terra. (28).
    San Paolo afferma che la fede è legata all’ascolto, che porta poi alla visione del volto di Dio (29).
    San Giovanni dice che i primi discepoli ‘sentendolo parlare così,  seguirono Gesù’. Dall’ascolto alla sequela. La fede però è collegata con la visione. Giovanni, davanti al sepolcro vuoto ‘vide e credette’. E la Maddalena ha detto ai discepoli: ‘Ho visto il Signore!’ (30).
    La fede non è solo ascoltare e vedere, ma è anche ‘toccare’ (1 S. Gv. 1, 1 :’Vi trasmettiamo quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto… e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita…’. Con la sua venuta tra noi, Gesù ‘ci ha ‘toccato’ e, attraverso i Sacramenti, ancora oggi ‘ci tocca’. Con la fede possiamo toccarLo e ricevere la potenza della sua grazia (31).
    Giovanni Paolo II nell’Enciclica ‘Fides et ratio’  mostra come fede e ragione si rafforzano a vicenda. La luce della fede illumina tutti i nostri rapporti umani (32).
    Il momento decisivo per la conversione di Sant’Agostino non è stata la visione di Dio, ma piuttosto quello dell’ascolto, quando nel giardino sentì una voce che diceva: ‘Prendi e leggi’ (33). (San Paolo ai Romani, cap. 13°).
    Oggi si riconosce solo la verità soggettiva del singolo e si ha paura della verità comune perché si pensa che opprima, mentre, la verità che procede dall’amore, non si impone mai e dialoga con tutti (34).
    La luce della fede illumina anche il cammino di tutti coloro che cercano Dio. Dio è luminoso e può essere trovato anche da coloro che lo cercano con cuore sincero, come i Magi guidati dalla stella. L’uomo religioso è in cammino e deve essere pronto a lasciarsi guidare, a uscire da sé per trovare il Dio che sorprende (35).
    La teologia è impossibile senza la fede. La fede orienta la ragione ad aprirsi alla luce che viene da Dio. La teologia come scienza della fede è una partecipazione alla conoscenza che Dio ha di Se stesso.  Richiede umiltà nella ricerca e fiducia nel Magistero della Chiesa, che non è una limitazione, ma un aiuto (36).
 
Cap. 3° ‘VI TRASMETTO CIO’ CHE HO RICEVUTO’ (37-49)
    
Gli elementi qualificanti del Battesimo sono: l’invocazione della SS. Trinità e l’immersione nell’acqua che ci purifica dai peccati e ci rende figli di Dio. Ne consegue l’importanza del catecumenato che è la strada di preparazione al battesimo, e alla trasformazione dell’intera esistenza nel Cristo (42).
    Il Battesimo richiama anche  l’importanza dell’unione tra la famiglia e la Chiesa. I genitori servono non solo a generare i figli, ma a portarli a Dio, affinché, attraverso il battesimo vengano generati come figli di Dio e ricevano il dono della fede, che verrà poi confermato nella Cresima (43).
    La fede trova la sua massima espressione nell’Eucaristia che è il nutrimento della fede. L’Eucaristia unisce le due dimensioni dell’uomo, quella terrena e quella eterna (44).
    Nella celebrazione dei Sacramenti, la Chiesa trasmette la sua memoria soprattutto con la professione di fede. Nel Credo, il credente viene invitato a entrare nel mistero che professa e a lasciarsi trasformare da ciò che professa (45).
    Nel Credo, oltre alla professione di fede e alla pratica dei Sacramenti, ci sono due altri elementi che edificano la Chiesa: la preghiera (il Padre nostro) e il Decalogo. Il Decalogo non è un insieme di precetti negativi, ma di indicazioni concrete per camminare nella fede. Tutto ciò è affermato nel Catechismo della Chiesa Cattolica, strumento fondamentale per conoscere la fede (46).
    La fede è ‘Una’ per 3 motivi: anzitutto perché il Dio in cui crediamo è Uno. In secondo luogo perché si rivolge all’unico Signore che è Gesù. In terzo luogo perché la fede è condivisa da tutta la Chiesa, che è un solo Corpo e un solo Spirito (47).
    Dato che la fede è ‘una’ deve essere manifestata in tutta la sua purezza e integrità. Negare un punto della fede, significa danneggiare tutta la fede. La Chiesa deve vigilare perché venga trasmesso l’intero deposito della fede (48).
    La garanzia dell’unità della fede è data dalla Successione Apostolica. Essa poggia sulla fedeltà dei testimoni che sono stati scelti dal Signore per tale compito (49).
 

Cap.o 4° ‘DIO PREPARA PER LORO UNA CITTA’ (50-59)

    
La fede dei Patriarchi e dei Profeti dell’Antico Testamento non si configura solo come un cammino, ma come la preparazione di un luogo nel quale l’uomo possa abitare con gli altri (così per Noè, Abramo…) La fede non illumina solo il rapporto con Dio, ma anche il rapporto con gli uomini, perché nasce dall’amore di Dio. Il Dio affidabile dona agli uomini una città affidabile (50).
    La fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei. La fede è un servizio al bene comune. La fede è una luce per tutti. Essa ci aiuta a edificare la nostra società (51).
    Il primo ambito in cui la fede si manifesta è la famiglia. L’uomo e la donna possono promettersi un amore per sempre se è fondato sull’amore eterno di Dio (52).
    La famiglia ha un’importanza fondamentale nell’educazione alla fede, soprattutto dei bambini e dei giovani. Li aiuta a scoprire la vocazione all’amore e assicura che questo amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio (53).
    La fede è una luce che illumina anche i rapporti sociali e costituisce e il fondamento della vera fraternita. Ogni uomo è una benedizione per i fratelli, che deriva dall’amore di Dio manifestato in Cristo attraverso la sua passione, morte e resurrezione (54).
    La fede nel rivelarci l’amore di Dio creatore, ci fa rispettare maggiormente la natura perché ce la fa considerare come un dono. Quando la fede viene meno c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere umano vengano meno.  Se togliamo la fede di Dio dalle nostre città, si affievolirà anche la fiducia tra noi (55).
    La fede illumina il vivere sociale. Essa è una forza nella sofferenza. Nell’ora della prova solo la fede ci illumina.  Proprio nella sofferenza e nella debolezza
 si manifesta la potenza di Dio.  Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare un atto di amore (56).
La luce della fede ci rende partecipi anche delle sofferenze del mondo. La fede non elimina le sofferenze, ma dà loro un senso che apre alla speranza in un mondo futuro (57).

La Madonna si identifica nel ‘terreno buono che produce frutti buoni’ di cui parla la parabola del seminatore riportata da San Luca. Ella ha ascoltato la Parola con cuore integro e buono e per questo ha prodotto frutti buoni.
La Madre del Signore è icona perfetta della fede, come dice santa Elisabetta: ‘Benedetta colei che ha creduto’. Quando la fede è veramente vissuta riempie di gioia la nostra vita (58).
La Madonna, per il suo legame con Gesù, è strettamente associata a ciò che noi crediamo. Ella è stata presente in tutti i momenti della vita di Gesù ed è presente anche nella nostra vita, come vera Madre.

L’Enciclica si conclude con una toccante preghiera a Maria, Madre della Chiesa e madre nostra.

 

‘Aiuta, o Madre, la nostra fede!
Apri il nostro cuore all’ascolto alla Parola, perché riconosciamo la voce di Dio e la sua chiamata.
Sveglia in noi il desiderio di seguire i suoi passi, uscendo dalla nostra terra e accogliendo la sua promessa.
Aiutaci a lasciarci toccare dal suo amore, perché possiamo toccarlo con la fede.
Aiutaci ad affidarci pienamente a Lui, a credere nel suo amore, soprattutto nei momenti di tribolazione e di croce, quando la nostra fede è chiamata a maturare.
Semina nella nostra fede la gioia del risorto.
Ricordaci che chi crede non è mai solo.
Insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù, affinche Egli sia luce nel nostro cammino.  E che questa luce della fede cresca sempre in noi, finchè arrivi quel giorno senza tramonto, che è lo stesso Cristo, Figlio Tuo, nostro Signore!’.

 

PIANO PASTORALE 2013-2014

DELLA CHIESA CHE E’ A MILANO

IL CAMPO E’ IL MONDO.

VIE DA PERCORRERE INCONTRO ALL’UMANO’

Lunedì 9 settembre 2013 l’Arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, ha resentato in Duomo, ai vescovi, ai sacerdoti e ai laici impegnati della Diocesi, il nuovo Piano pastorale 2013-2014, intitolato: ‘Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano’.

Il titolo del Piano pastorale è riferito alla nota parabola evangelica del Seminatore, riportato dall’Evangelista Matteo al cap. 13°. L’idea di fondo di tutto il Piano pastorale è la ‘missionarietà’, in relazione e in continuità con l’azione pastorale di Papa Francesco, nei suoi primi sei mesi di pontificato.

La Chiesa che è a Milano vorrà impegnarsi nell’annuncio del vangelo, a tutto campo e con tutte le sue forze, nell’intento di andare incontro all’uomo moderno per offrirgli la possibilità di credere e di salvarsi.

Il Piano pastorale è contenuto in un libretto di 72 pagine, con una prefazione, 7 capitoletti e una appendice.

lo l’ho letto, riletto attentamente, e ora vorrei presentarlo in forma semplice e riassuntiva, pur rimanendo fedele al testo, per farlo conoscere a tutti, anche. .. ai non addetti ai lavori!

Nella Prefazione, lo sguardo dell’Arcivescovo si posa sul Duomo di Milano, inteso come la ‘casa di tutti i milanesi’ e come ‘realtà vivente’. Il Duomo è dedicato a ‘Maria Nascente’, ad indicare che è la Madonna che conduce gli uomini a Gesù e al suo vangelo di salvezza.

Cap. 1° - PREZIOSE CONFERME (pag. 9)

Nel primo capitoletto, l’Arcivescovo ricorda i recenti avvenimenti della vita religiosa e civile di Milano: il 7° Incontro Mondiale delle Famiglie nel giugno 2012, l’Anno Costantiniano, la visita del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I° a Milano, la Lettera pastorale dell’anno scorso ‘Il Dio vicino’, che indicava i pilastri di ogni comunità cristiana, descritti negli Atti degli Apostoli (At. 2, 42-47).

L’Arcivescovo ricorda poi l’individuazione delle linee pastorali comuni, miranti a formare ‘l’unità nella pluriformità’.
Ci sono stati poi due eventi eccezionali: la rinuncia a sorpresa al Pontificato di Papa Benedetto XVI e la grazia dell’elezione di Papa Francesco. C’è poi un accenno ad un altro evento eccezionale per la comunità civile e religiosa, l’EXPO 2015.

L’ultimo riferimento è all’Europa, carica di prospettive, ma che ha bisogno di un rinnovamento, al quale non rimarrà estranea anche la diocesi di Milano, che pure è contagiata da un certo ‘ateismo anonimo’ (vivere come se di fatto Dio non esistesse).

Il cattolicesimo popolare di Milano, ancora vitale sul territorio, (lo dimostra la vivacità degli Oratori estivi, la solidarietà verso gli ultimi, la seconda fase del ‘Fondo Famiglia e lavoro, la partecipazione al lutto del card. Carlo Maria Martini, è chiamato a rinnovarsi, cioè a passare dalla ‘convenzione alla convinzione, per trasmettere i1 deposito della fede alle generazioni future.

Cap. 2° IL BUON SEME DEL VANGELO (Mt. l3, 38) (pag. l7)

Nonostante che molti battezzati separano la fede dalla vita (ateismo anonimo), lo Spirito del Risorto continua a sorprenderci. Gesù, nonostante il rifiuto di molti, si commuove davanti alle folle, ai bambini, ai malati e parla loro in ‘parabole’, in modo che tutti possano capire. Una di queste parabole è quella del ‘seminatore, o ‘del buon grano e della zizzania’.

Il regno dei cieli è simile a un uomo, che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi domandarono al padrone di casa e gli dissero.

‘Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?’. Ed egli rispose loro.· ‘Un nemico ha fatto questo ’. E i servi gli dissero.·

‘Vuoi che andiamo a raccoglierla?. No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che I ’uno e l’altro crescano insieme fino alla mietitura, e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla,· il grano invece riponetelo nel mio granaio.’ (… ). Poi congedò la folla ed entrò in casa,·

i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli.· ‘Spiegaci la parabola della zizzania nel campo ’. Ed egli rispose.· ‘Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel Regno del Padre loro.

Chi ha orecchi, ascolti!’ (Mt. 13, 24-30 e 36-43).

          

Facciamo qualche sottolineatura a questa parabola

* Anzitutto è Dio che prende l’iniziativa e che agisce nel mondo. Il campo è il mondo, è il luogo in cui Dio si manifesta in modo sorprendente e sempre con amore.

* Il Seminatore è Gesù, di fronte al quale non si può rimanere indifferenti: o lo si accoglie o lo si rifiuta. Tutto questo naturalmente coinvolge la nostra libertà.

* La risposta della nostra libertà non è immediata, ma richiede tempo e non è dato a noi giudicare la libertà degli altri.

* Gesù dona agli apostoli uno sguardo nuovo sul mondo; non vede solo la zizzania, come gli apostoli, ma si sofferma sul buon grano.

* Noi dobbiamo avere uno sguardo paziente e misericordioso sul mondo, perché esso è anzitutto ‘il luogo della buona semente’. Occorre quindi avere una visione positiva del mondo. Esiste anche il male, la zizzania, ma Gesù se l’è caricata sulle spalle per redimerla.

Cap. 3° - IL CAMPO E’ IL MONDO (pag. 25)

* La fede è un dono. Come superare la diffidenza diffusa verso la fede e la Chiesa? La risposta l’ha data Papa Francesco nell’Enciclica ‘Lumen fidei’: La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, il quale ci ama e ci dona ‘occhi nuovi’ per vedere la realtà. E’ sull’amore di Dio che dobbiamo costruire la nostra vita. La fede consiste nello sforzo di modellare la nostra vita su quella di Gesù.

* Anche gli apostoli e i discepoli, dopo l’incontro con Gesù, hanno cambiato vita. Si tratta di  coltivare una relazione con Gesù, che dà pace. L’incontro con Gesù non toglie nulla all’avventura umana, ma offre la piena possibilità di compierla. In questo senso il buon seme diventa il vero vangelo (buona notizia) per gli uomini.

*   ‘Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito’. Il mondo è il luogo in cui operiamo noi, e diventa la ‘città degli uomini’, per tutte le loro manifestazioni

* La fede apre a tutte le dimensioni dell’esistenza, che si possono sintetizzare in tre elementi comuni: affetti, lavoro, riposo.

* Affettì. Le persone chiedono di essere amate per poter amare definitivamente. L’amore è per-sempre e apre alla fecondità. Nelle diverse età della vita i legami di affetto possono decidere della felicità o della infelicità di ogni persona.

* Lavoro. La situazione è drammatica. Il lavoro è un bene ed è un bene comune. Si tratta però sempre del lavoro dell’uomo, che è il soggetto del lavoro il cui primato va sempre difeso e affermato. Il lavoro è fattore esenziale per la dignità dell’uomo e per la piena realizzazione della sua personalità.

* Riposo. Quello del riposo è un diritto-dovere codificato fin dall’antichità. Ne parla la Genesi al cap. 20. Lo Statuto dei lavoratori sancisce il diritto al riposo. Il tempo libero però non è solo quello non occupato dal lavoro, ma deve essere il ‘tempo dei desideri’,  in cui ciascuno ha la possibilità di dedicarsi a tutto quello che è piacevole e gratifica il corpo e la mente.

* Il Convegno ecclesiale di Verona del 2006 ha riflettuto sugli ambiti della vita affettiva, del lavoro e della festa, della fragilità umana, della tradizione, della giustizia. A ben guardare tutti questi tempi rientrano nelle tre dimensioni che abbiamo indicato: affetti, lavoro, riposo.

Cap. 4° GESU’ CRISTO EVANGELO DELL’UOMO (Pag. 37)

* Per un cristiano non c’è nessun ‘estraneo’, perché tutti vivono nello stesso mondo, dove tutti siamo invitati a coltivare ‘la cultura dell’incontro’ con tutti, come ci è stato di esempio il card. Carlo Maria Martini.

* Il campo in cui viene offerto l’incontro con Gesù è il mondo, nel quale il discepolo sa di essere preceduto e atteso da Gesù, e dal suo amore.

* L’uomo contemporaneo si pone un interrogativo: ‘Chi vuol essere l’uomo del Terzo millennio?

* Gesù venendo nel mondo , ci ha resi ‘per grazia’ creature nuove. I cristiani devono quindi restituire il dono, comunicandolo agli altri.

* I cristiani in qualsiasi momento devono poter dire all’altro: ‘Vieni e vedi’, e cosi apparirà la comunione ecclesiale e si vedrà che le differenze non ostacolano ma edificano la vita di tutti.    

* I cristiani devono essere dei testimoni di Gesù non solo dando buon esempio, ma facendo trasparire nel proprio comportamento la figura di Gesù, come è avvenuto per la Madonna, San Giuseppe e tutti i Santi.

* Il testimone, quando è autentico, fa sempre spazio all’interlocutore e a tutte le sue domande. Dobbiamo aprirci al confronto con tutti e in tutti gli ambienti dell’esistenza umana. Se  la fede si rafforza donandola,  la testimonianza consente di gustare ancora di più la bellezza della vita cristiana.

* L’impegno del cristiano è di documentare in prima persona che Gesù è ‘Via,Verità e Vita’. Ciò vale anche per il terzo millennio.

* Il testimone, sapendo di essere un servo inutile, non teme di esporre se stesso a tutti i rischi dell’annuncio. Tutti i fedeli della nostra diocesi sono chiamati ad una verifica non più rinviabile.

* In questi convulsi tempi di cambiamento non possiamo non fare una verifica sulle tre dimensioni della vita, proclamate nel Convegno ecclesiale di Verona, nel sulle: affetti – lavoro – riposo   

* Per quanto riguarda gli affetti bisogna domandarsi perché la parola cristiana sull’amore è così poco attraente, perché si ha paura dell’unione ‘per sempre’, ecc.

* Anche nel campo del lavoro i cristiani hanno la responsabilità di essere il seme buono e devono vivere come discepoli che non nascondono la loro fede. Devono impegnarsi di più in quella eminente forma di carità che è la politica e operare in

ogni settore del mondo del lavoro.

* I cristiani devono essere seme buono anche nel tempo del riposo, ricordando che il nome cristiano del riposo è la festa e il cuore della festa   è la celebrazione eucaristica. La domenica deve essere il tempo della lode, della intercessione, della speranza, dello svago, della condivisione e della letizia. La domenica è un bene per tutti.

Cap.o 5° - UNO STRUMENTO OFFERTO A TUTTI (pag. 51)

La Lettera pastorale è per tutti gli uomini e donne di buona volontà, per aiutarli a riflettere sul significato della loro vita. E’ un’offerta di dialogo tra il vescovo e tutti i cittadini come auspicava il card. Carlo Maria Martini, nei suoi ‘Discorsi alla città’, alla vigilia della Festa di Sant’Ambrogio.

Lo scopo ultimo della Lettera è quello di scoprire lo sguardo di Gesù su noi e sul mondo, per imitarlo, e di chiedersi se la nostra vita cristiana trova davvero in Cristo il suo compimento. Certo che occorre un cambiamento di mentalità, una  ‘conversione’ personale e nel contempo una verifica della vita delle varie comunità.

Cap.o 6 - TRE CRITERI (pag. 55)

Per orientare la nostra vita verso la testimonianza, l’arcivescovo indica 3 criteri

1) Valorizzare la vita ordinaria delle parrocchie, delle Comunità pastorali, delle Associazioni, ecc., secondo le indicazioni comuni della Lettera pastorale.

2) Ricercare ‘1’unità nella pluriformità’, necessaria per testimoniare Gesù Cristo come l’evangelo dell’umano. Ogni cristiano, secondo il proprio dono, deve dare una testimonianza specifica al vangelo e soprattutto deve testimoniare che ‘1a Chiesa non ha bastioni da difendere, ma solo strade da percorrere’. L’arcivescovo rivolge poi alcune raccomandazioni ai ministri ordinati, riguardanti soprattutto l’unità del presbiterio intorno al vescovo.

3) Ripensare l’attività della Curia e degli Uffici diocesani secondo due criteri:

a) Curando meglio il coordinamento tra le parrocchie e gli Uffici

b) Snellire il loro apparato per assicurare un effettivo servizio.

Cap.o 7° — UNA METROPOLI EUROPEA, UNA CHIESA PRESA A SERVIZIO ( pag. 61)

E’ significativa la foto di copertina della Lettera pastorale perché mostra una città antica e nuova, una città che cambia. ‘E’ una foto che sottende una geografia umana’ della nuova città.

L’arcivescovo parla delle due dimensioni di Milano, quella civile e quella religiosa, che si fondano ‘nell’ambrosianità’ di Milano. Due dimensioni che fanno ben sperare, nella certezza che ‘il seme sta lentamente trasformandosi in messe’.

Anche l’Europa, pur ‘essendo stanca e affaticata’, si riconosce in una fede religiosa ancora al 71% della popolazione. La gente è alla ricerca anche del senso religioso da dare alla propria vita. E’ positivo poi il fatto che la famiglia, in Europa, tiene bene e resta sempre ai primi posti nella graduatoria.

Di fronte alla domanda religiosa, la fede ci chiede di generare una realtà umana nuova. Le difficoltà che presenta il nostro tempo turbolento, non sono una minaccia, ma una opportunità per annunciare il vangelo.

I cristiani sono ‘operai nel campo del mondo’. Essi sono ‘presi a servizio dal Seminatore’, e devono confidare nella longanimità del Seminatore. ‘Dio ha uno sguardo vivo, è una presenza reale’.

Milano ha un suo futuro, ha una parola da dire a tutto il Paese. Forse per il momento è solo un balbettìo, ma ‘la speranza - dice Peguy - non è una virtù bambina?’

APPENDICE (pag. 66)

Senza interferire nella vita ordinaria delle comunità, l’arcivescovo intende proporre alcuni appuntamenti comuni, che richiamano l’attenzione di tutti: il cammino è ‘portare a tutti il vangelo di Gesù Cristo’. Non vuol essere un programma, ma indicare soltanto uno stile missionario rinnovato.

Gli appuntamenti comuni sono soprattutto tre:

1) La predicazione dell’arcivescovo in Duomo nel Tempo di Avvento

2) La Via crucis nei venerdì di Quaresima

3) La venerazione pubblica del Santo Chiodo, custodito nel Duomo.

•   L’arcivescovo propone poi tre incontri ufficiali per il clero e i laici: con l’arcivescovo di Vienna, con l’arcivescovo di Manila e una Convocazione plenaria del clero, per fare una verifica del cammino percorso.

•  Verranno proposti anche alcuni incontri in città e nel territorio con i rappresentanti della comunità civile.

•   Da ultimo, verrà lanciata una iniziativa ecumenica di evangelizzazione, dal titolo: ‘Gesù Cristo, evangelo dell’umano’. Ci saranno anche degli incontri con gli Ebrei, i Musulmani e i Buddisti.

DOCUMENTI


SOMMARIO


 

1. Enciclica
   "Lumen Fidei"


 

2. Giornata
    Missionaria 13



3
. Piano Pastorale della Diocesi di Milano 2012-2013



4. Sacramento unzione degli infermi


5. Messaggio Quaresima 2014

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